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Recensione: Psycho

  • cineteque
  • 6 gen 2018
  • Tempo di lettura: 3 min

Titolo originale: Psycho Paese di produzione: Stati Uniti d'America Anno: 1960 Durata: 109 min Genere: thriller, orrore Regia: Alfred Hitchcock

Trama: Una bella impiegata ruba quarantamila dollari e fugge. Cambia la macchina, si trova nel mezzo di un temporale e decide di passare la notte in un motel. Il proprietario è Norman, all'apparenza un ottimo ragazzo che manifesta soltanto qualche piccola stranezza, come quella di impagliare uccelli. Il motel non ospita nessun altro cliente. La donna decide di fare una doccia prima di dormire. Sotto l'acqua viene aggredita e uccisa da un'altra donna, che si intravvede appena. La mattina Norman scopre il corpo. Sconvolto fa pulizia, mette il cadavere nel bagagliaio e fa sparire la macchina nelle sabbie mobili. E' turbato perché sa che l'assassina è sua madre, che è patologicamente gelosa del figlio e non sopporta neppure che parli con altre donne. Un investigatore privato, con l'aiuto del fidanzato della donna uccisa, riesce a risolvere la matassa.

"Le emicranie sono come i buoni propositi: ci se ne dimentica appena i male è passato"

Psycho è il film degli sguardi, tutto il film ci riporta a questa tematica a cui Hitchcock era assai attento, poiché per un film di genere thriller, difficile da realizzare con un impianto narrativo che non scada nel ridicolo, ci vuole qualcosa che distingua il maestro dell'horror: gli occhi. Essi descrivono l'animo umano, le sue intenzioni. Ma appartenendo comunque alla caratterizzazione fisiognomica dei personaggi, è complicato riuscire a trasmettere molto: invece Hitchcock ci riesce con grande maestria.

Non punta su una trama scadente, ma punta sulla suspance e sul rapporto freudiano fra madre e figlio. La difficile accettazione della morte della madre che porta all'isolamento del figlio e di conseguenza contribuisce a creare in lui una serie di complessi che si sfogano non solo nel bisogno di identificarsi nella madre con disturbi di duplice personalità ma anche in violenza portandolo ad uccidere Marion.

La scena della doccia è tra le più famose e citate del cinema di tutti i tempi. La sua costruzione formale è incredibilmente attenta e carica di suspense. Il montaggio frenetico, che ci impone un punto di vista complice della macchina da presa, si sposta da dettagli della bocchetta e dello scarico della doccia, del coltello che colpisce, ai particolari del corpo che sappiamo lacerato, del viso della vittima, occhi, labbra, una bocca spalancata per un urlo disperato di terrore. Ed è storia. La protagonista del film è morta dopo la prima mezz’ora. Cosa fare, a questo punto? Con chi identificarsi? Una scena iconica che rivoluzionerà il modo di fare cinema di genere. Il tutto infatti sembrava mettere al centro del nucleo narrativo Marion, che invece viene uccisa dopo solo trenta minuti. Lo spettatore si trova disorientato, ma comunque viene spinto ad un'analisi ben più complessa che va oltre la storia, bensì si concentra sul personaggio di Norman, complesso, che va oltre il tipico e pone in analisi l'individuo.

Il pubblico viene spinto a capire l'interiorità del protagonista. Iconica è anche la colonna sonora che sottolinea la suspance e rimarrà per sempre la musica horror per eccellenza. Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, Hitchcock fa si che la sceneggiatura risulti naturale e decide di concentrarsi puramente sull'interiorità dei personaggi, con movimenti macchina semplici che si alternano fra soggettive ed oggettive, fra dettagli e particolari. Una costruzione semplice per una struttura complessa, caratteristica unica di questo regista che ha trasformato il genere horror-thriller in un qualcosa di più introspettivo che va oltre la semplice struttura narrativa.

Voto: 8,5/10


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