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Recensione: La grande bellezza

  • cineteque
  • 12 gen 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

Lingua originale: italiano Paese di produzione: Italia, Francia Anno: 2013 Durata: 142 min Genere: drammatico, commedia, grottesco Regia: Paolo Sorrentino

Trama: Scrittore di un solo libro giovanile, "L'apparato umano", Jep Gambardella, giornalista di costume, critico teatrale, opinionista tuttologo, compie sessantacinque anni chiamando a sé, in una festa barocca e cafona, il campionario freaks di amici e conoscenti con cui ama trascorrere infinite serate sul bordo del suo terrazzo con vista sul Colosseo. Trasferitosi a Roma in giovane età, come un novello vitellone in cerca di fortuna, Jep rifluisce presto nel girone dantesco dell'alto borgo, diventandone il cantore supremo, il divo disincantato. Re di un bestiario umano senza speranza, a un passo dall'abisso, prossimo all'estinzione, eppure ancora sguaiatamente vitale fatto di poeti muti, attrici cocainomani fallite in procinto di scrivere un romanzo, cardinali-cuochi in odore di soglio pontificio, imprenditori erotomani che producono giocattoli, scrittrici di partito con carriera televisiva, drammaturghi di provincia che mai hanno esordito, misteriose spogliarelliste cinquantenni, sante oracolari pauperiste ospiti di una suite dell'Hassler. Jep Gambardella tutti seduce e tutti fustiga con la sua lingua affilata, la sua intelligenza acuta, la sua disincantata ironia.

"La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare"

Devo ammettere che mi sento abbastanza in difficoltà a recensire questo film.

Molti ne hanno parlato, sia nel bene che nel male.

Per alcuni è il film che ha cambiato la storia del cinema. Ho letto cose come "esiste un cinema prima e dopo La grande bellezza".

E poi ci sono coloro che lo detestano. Pensano sia un affronto contraddittorio verso la cinematografia intera.

Capitemi bene, quando ti trovi a voler recensire un film che ha fatto così tanto parlare di se, ti senti veramente in difficoltà, per questo proverò a recensirlo in modo onesto, dal mio punto di vista che non è sicuramente come quello di un critico cinematografico.

Partiamo dal fatto che mi trovo schierata fra quelli che hanno apprezzato il film.

Personalmente penso che Sorrentino sia uno dei registi che più amo e che fa sicuramente parlare di se. Molti lo vedono come un intellettualone che vuole mettere in difficoltà il suo pubblico. Sinceramente penso che abbia un metodo creativo elegante e pulito, ogni inquadratura è curata nei minimi dettagli.

I suoi film io li definisco assai tecnici, c'è un'estrema attenzione alla forma ed in essa si riflette il contenuto stesso della narrazione.

Quando un regista decide di esprimersi in modo più formale spesso rischia di cadere in un abisso di critiche, forse perchè la maggior parte dei film che escono al cinema oggi giorno sono fatti per essere più di facile comprensione.

Non nel senso della difficoltà di quello che ci viene fatto vedere, ma perchè quando entriamo in qualsiasi cinema spesso lo spettatore medio non ha voglia di fare un certo sforzo intellettivo. Pochi vedono un significato dietro una scena, molti vedono soltanto un cambio d'inquadratura che risulta vano. Ma chi se ne intende un pò, noterà che sicuramente dietro la regia di Sorrentino si nascondono dei significati.

Adesso, tolto il discorso della comprensione, possiamo passare ad analizzare se quei significati siano validi o meno.

"La grande bellezza" è un film che parla della società moderna altolocata romana ed il tutto viene narrato dal punto di vista di Jep Gambardella, un filantropo scrittore che fa parte dell'elite e che viaggia per i luoghi più noti della capitale semplicemente osservando.

Il problema del film penso sia sorto quando noi, italiani, ci troviamo a vedere una storia narrata da Jep, che probabilmente è tutto ciò che odiamo dell'Italia.

Il protagonista è un uomo saccente che si sente nella posizione di poter criticare tutto ciò che lo circonda. Noi spettatori lo potremmo odiare tranquillamente, ma avviene un meccanismo di personificazione. Il problema è che noi siamo ciò che odiamo.

E quando si entra in argomenti politici e classistici, il pubblico si sente sempre preso in causa, soprattutto se si parla di un pubblico italiano.

In qualsiasi film che si rispetti, lo spettatore tende ad impersonarsi nel personaggio che viene proposto e può dar fastidio quando si fa riferimento a certi temi che al giorno d'oggi affrontiamo sempre con tanta amarezza.

Jep è uno scrittore che critica molto, ma è allo stesso tempo molto colpito dalla vita. Per lui essa è stata un peso che gli ha sempre gravato addosso, ma ora, all'alba dei 65 anni, si rende conto cosa si è perso. Non è la ricchezza materiale a soddisfarci, non è il credere in un ideale religioso o politico ad ispirarci, non è il marchio famoso che gestisce la nostra felicità.

Ci sono cose ben più grandi che non si possono comprare, come l'orgoglio e la dignità.

"A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta: "La fessa". Io, invece, rispondevo: "L'odore delle case dei vecchi". La domanda era: "Che cosa ti piace di più veramente nella vita?" Ero destinato alla sensibilità. Ero destinato a diventare uno scrittore. Ero destinato a diventare Jep Gambardella"

Jep è un uomo che si è stufato di ciò in cui ha sempre creduto ed è affascinante vederlo vagare per una città che ha così tanto da dire come Roma.

Una Roma che Sorrentino ci mostra come nuova, come il futuro di un Paese che si sta autodistruggendo.

La tecnica del regista, a mio parere incriticabile, è assai precisa. Ogni oggetto, ogni luce è dove dovrebbe essere. Spesso le scene sono molto lente e lasciano spazio ai dialoghi che anch'essi non sono continui, ma significativi.

Inoltre Toni Servillo, che interpreta Jep, è secondo me uno dei migliori attori che abbiamo in Italia. Ha un talento strabiliante, probabilmente coltivato con l'età.

L'ho amato ne "Il divo" e "Le conseguenze dell'amore".

"Che cosa avete contro la nostalgia, eh? È l'unico svago che resta per chi è diffidente verso il futuro, l'unico"

Infine vorrei quindi fare un altro commento a favore di questa pellicola. Molti si sono lamentati perchè non hanno ritrovato la grande bellezza.

Ma io mi domando: cosa è in fondo la grande bellezza?

Io penso che ci sono momenti in cui la troviamo.

Momenti inutili, idioti, futili, in cui finalmente la vediamo.

Se il regista sceglie di farci vedere la città che odiamo con gli occhi di colui che odiamo ancora di più, forse è in quel momento che cogliamo la vera bellezza.

Essa non si trova nel film stesso, è un qualcosa che ci rimane dentro e che ci rende consapevoli di ciò che ci circonda.

Non serve una trama complessa per fare questo. Serve tecnica.

E, a mio parere (e forse anche a quello dell'Academy che lo ha premiato con un Oscar), Sorrentino ne è uscito vincitore.

Voto: 9/10


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